“Insegnami la tempesta” di Emanuela Canepa

Di Rita Andreetto

La bellezza di romanzo sta anche, e forse soprattutto, nella forza espressiva dei suoi personaggi. Per parlare dell’ultimo lavoro di Emanuela Canepa, “Insegnami la tempesta” (Einaudi, 2020) iniziamo proprio da loro: una madre, una figlia adolescente, una suora.

Emma, una donna caparbia, convinta delle proprie posizioni e che difficilmente si piega alle ragioni altrui.

Matilde è una ragazza determinata che vuole decidere in totale autonomia della sua vita e accusa la madre di limitarla, di controllarla.

Irene, una suora di clausura che si troverà ad accogliere Matilde, alla quale si sente indissolubilmente legata e a cui non sa, e non può, negare rifugio.

Ed ecco che Emma sta andando da lei, da Irene, deve vederla, ma, soprattutto, deve vedere Matilde, che ha cercato conforto da lei, scappando di casa, dopo che ha confessato di essere rimasta incinta.

“Per tutto il viaggio l’acqua non ha smesso di cadere un momento. Veniva a dirotto, un lenzuolo liquido che il vento faceva oscillare scaricandolo a sciabolate sull’auto. Emma raggiunge la sommità della collina e si infila in una piazzetta sterrata. Cerca con gli occhi un varco nel labirinto delle pozzanghere. Il cielo trema l’ultima volta, poi lentamente comincia a spiovere. La furia del temporale ha spogliato gli alberi, le aiuole sono ridotte a un pantano coperto di foglie, e il selciato è una costellazione di buche piene d’acqua su cui si riflettono le nubi spazzate via a larghe folate”.

Fin dalle prime righe siamo seduti in macchina accanto ad Emma, sotto “la furia del temporale”, sentiamo la sua angoscia prima di arrivare nel luogo dove si nasconde sua figlia.

Un incipit che ci cattura e accalappia l’attenzione del lettore. Ci permette di intravedere l’appeal della storia che abbiamo tra le mani.

Emanuela Canepa, vincitrice del premio Italo Calvino 2017, con “L’animale femmina” aveva puntato lo sguardo sul rapporto tra un affermato avvocato e una studentessa di medicina in ristrettezze economiche che si trova ad accettare un’offerta di lavoro per mantenersi gli studi. Una storia in cui una ragazza troverà la sua forza e imparerà una via di fuga. Ora, nel nuovo romanzo, la scrittrice bibliotecaria padovana approfondisce il tema della maternità, racconta i dubbi, le incertezze, le domande che affrontano le donne quando scoprono di aspettare un bambino e li affronta, senza timore e paure.

Emma, diciotto anni prima, si era trovata a compiere la scelta che deve affrontare ora sua figlia. È una madre che si porta dietro una grande dose di egoismo, ha aspettative di gratitudine, che vengono disattese e si interroga costantemente sull’origine dei loro conflitti.

“Quand’è che le cose con Matilde avevano iniziato a peggiorare? Emma se l’era chiesto spesso, ma l’origine del disagio le sfuggiva. Sapeva solo che sempre più di frequente le capitava di sentirsi inutile. Una madre superflua”.

Per definire sua figlia sono necessari termini che segnano un confine: amare, odiare, detestare.

Emma è tesa a ricucire un rapporto che pare non esserci mai stato. Non solo non si sente amata dalla figlia, ma non appare provare sentimenti per niente e nessuno. Si trova a fare un lavoro di ripiego e sembra non amare particolarmente neppure Fausto, suo marito. L’ha incontrato in un momento difficilissimo della sua vita ed è sempre stata una presenza rassicurante per lei, una figura resiliente e remissiva e soprattutto, un porto sicuro anche per sua figlia.

Matilde appare totalmente estranea alla madre, dura, inaccessibile. Un giorno si trova davanti ad un bivio: incinta, non vuole rivelare il nome del compagno. Deve decidere che cosa fare ma, prima di farlo, ha bisogno di sapere se è stata voluta da sua madre o solo un alibi alla sua rinuncia di abbandonare gli studi.

Scrivendo con un linguaggio raffinato, incisivo e tagliente, Emanuela Canepa scava nelle profondità della maternità, nella libertà delle scelte, che significa anche libertà di sbagliare, perché non esiste libertà senza errori, quelli che, solo, ci permettono di sperimentare. Anche se, seguendo la libertà, rischiamo sempre di deludere qualcuno.

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