Di Doris Alberti
Amo i libri. Li amo fin da quando ero piccola e ci entravo dentro, sentendomi io la principessa della favola. Li amo fin da quando, in prima liceo, la professoressa di italiano ci consegnò una lunga lista di classici e, soprattutto, ci trasmise la sua passione per la lettura con le parole ma ancora di più con i suoi occhi che leggendo brillavano. Amo le copertine, le pagine che si rincorrono e quell’insieme di parole che prendono senso, a volte fin dall’inizio, a volte strada facendo. E amo i titoli che ti fanno l’occhiolino catturando la tua immaginazione.
“Quel che si vede da qui” è il titolo del libro che ho appena finito di leggere, scritto da Mariana Leky ed edito in Italia da Keller nel 2019. Il testo è stato pubblicato per la prima volta in Germania, paese dell’autrice, nel 2017 diventando “libro dell’anno” e continua ad avere grande successo tra i lettori.
“Quel che si vede da qui” non ha tanto a che fare con la descrizione dei luoghi in cui la storia è ambientata, la verde regione del Westerwald, che più volte viene rappresentata come una sinfonia di verde, azzurro e oro. Non ha nemmeno tanto a che fare con quello che vedono i nostri occhi, ma piuttosto con quello che sente il nostro cuore. Ed è questo che unisce Luise, la protagonista dapprima ragazzina e poi donna, a tutti gli altri personaggi di questo romanzo che rapisce in modo inarrestabile con la sua delicatezza e la sua intelligenza.
Con lo scorrere delle pagine entriamo nel mondo di Luise e della sua famiglia non convenzionale: un padre che decide che deve andarsene per girare il mondo, una madre in perenne ritardo, una nonna, Selma, che quando sogna un Okapi sa che entro ventiquattrore qualcuno morirà.
E poi tutti gli altri bizzarri abitanti della piccola comunità in cui Luise vive: l’ottico da sempre innamorato di Selma, ma incapace di esternare il suo amore, vittima delle sue voci interiori che lo maltrattato. Martin, amico d’infanzia di Luise che insieme a lei cresce, imparando ad allacciarsi le scarpe, a leggere l’ora, ad andare in bicicletta e a nuotare grazie alle attenzioni di Selma e dell’ottico che si sostituiscono ai genitori assenti. Elsbeth, la sorella del marito di Selma morto giovane, con le sue ballerine e le sue pantofole deformate dal passare degli anni. Alaska, il cane del padre di Luise che è un’esternazione del dolore. Palm, il padre di Martin, dapprima alle prese con l’alcool e poi con le continue citazioni dalla Bibbia. Marlies barricata nella sua casa, sempre scontenta di tutto. Il bottegaio, il gelataio, il libraio… Tutti con la loro storia e tutti alle prese, più o meno consapevolmente, con le loro difficoltà interiori.
Tutti contribuiscono, a loro modo, alla crescita di Luise fino a quando un giorno lei incontra, come in un’apparizione, Frederik, giovane monaco buddista dagli occhi azzurri che vive in Giappone e che, con un solo gesto, ribalterà per sempre la sua vita.
“Quel che si vede da qui” è un libro originale. Lo è per lo sguardo acuto e umano dell’autrice sui personaggi, sulle loro vicende, le loro stranezze, le loro fragilità, lo è grazie alla sua struttura narrativa, ai titoli dei singoli capitoli, al linguaggio scorrevole, elegante, mai banale.
Per me è stato come una coperta morbida che ti avvolge sul divano, come una tisana calda che ti rassicura prima di dormire ma anche, e soprattutto, come una sferzata di vento fresco che ti fa sentire viva, immensamente viva!
Ogni pagina è permeata di voglia di vivere e ti scopri a sorridere di alcune cose buffe o tenere che appartengono a Luise e al suo mondo ma che, in fondo, sono anche tue. Perché questo romanzo tocca tutte le tematiche della nostra vita, l’amicizia, l’amore, la morte e lo fa in modo lieve, profondo ma anche imprevedibile.
Per questi suoi tratti, anche se la storia è completamente diversa, mi viene da accostarlo a “L’eleganza del riccio” di Muriel Barbery, un altro testo sorprendente in cui non puoi non amare i personaggi che sono alla ricerca della bellezza del mondo.
E in questa ricerca Mariana Leky riesce a creare un’atmosfera che ti entra dentro. Un’atmosfera un po’ onirica e fiabesca in cui molti avvenimenti hanno un pizzico di follia, in cui non tutto ha una spiegazione logica, in cui il sogno di un Okapi, di cui volutamente non vi dico nulla, può far stare tutti con il fiato sospeso…
Alla fine del libro hai la sensazione di avere in bocca il sapore dei Mon Chery, i cioccolatini preferiti di Selma, oppure delle caramelle alla violetta del libraio… E allora torno all’inizio: amo i libri.